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Silvio Di Micco

Condizionamento mentale - Paura



Watson era ricercatore presso l’Univeristà Johns Hopkins di Baltimora. Partiva dal presupposto che tutti i comportamenti umani, o comunque buona parte, erano riconducibili a un apprendimento basato sul condizionamento. 

Così, insieme alla sua collaboratrice Rosalie Rayner, si recò in un orfanotrofio e adottò un bambino di soli otto mesi. Si trattava del figlio di una delle nutrici dell’orfanotrofio che viveva nella totale indifferenza, lontano dall’affetto e dal calore umano.


Nella prima fase dell’esperimento Watson sottopose il piccolo Albert a diversi stimoli. L’obiettivo era quello di individuare quali di questi stimoli generavano una sensazione di paura. Lo scienziato poté constatare che il bambino provava paura solo in presenza di forti rumori. Si trattava di una caratteristica comune a tutti i bambini. Per il resto, né gli animali né il fuoco sembravano spaventarlo.

La fase successiva dell’esperimento prevedeva lo sviluppo di una paura attraverso il condizionamento. Al neonato fu mostrato un ratto bianco con cui il piccolo voleva giocare. Tuttavia, ogni volta che il bambino tentava di giocare con l’animale, lo scienziato produceva un rumore fortissimo che lo spaventava. Dopo aver ripetuto questo procedimento per varie volte, il bambino finì per avere paura del ratto. In seguito, al piccolo vennero presentati altri animali (conigli, cani, e persino cappotti in pelle o pelliccia di animale), la reazione fu sempre la stessa: era ormai condizionato e aveva paura di tutte queste creature.



Il piccolo Albert fu sottoposto a prove del genere per un tempo piuttosto lungo. L’esperimento durò circa un anno, alla fine del quale il neonato era passato dall’essere estremamente tranquillo a vivere in uno stato d’ansia perenne. Il bambino si spaventò persino alla vista di una maschera da Babbo Natale, che fu obbligato a toccare scoppiando in un pianto irrefrenabile. Alla fine, l’università espulse Watson per la crudeltà del suo esperimento (e perché nel frattempo aveva intrapreso una relazione amorosa con la sua assistente).


La seconda fase dell’esperimento consisteva nell’annullare il condizionamento, in altre parole bisognava “decondizionare” il bambino affinché non avesse più paura. Questa seconda fase, però, non fu mai realizzata, né si seppe cosa ne fu del bambino dopo il famoso esperimento.

Una pubblicazione dell’epoca afferma che il bambino morì a sei anni a causa di un’idrocefalia congenita. A quel punto, i risultati ottenuti da quel macabro esperimento potevano essere messi in discussione.

In ogni caso, anche e soprattutto a causa delle sue alte pretese, delle sue conclusioni e per aver violato praticamente qualsiasi norma etica a cui gli scienziati devono attenersi oggigiorno se intendono condurre un esperimento, l’esperimento del piccolo Albert è uno dei più famosi nella storia della psicologia.

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